“Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo.” – Anna Karenina di Lev Tolstoj
Chi non ha in mente gli (ormai datati) spot televisivi che hanno come protagonista la “famiglia del Mulino Bianco”? Quattro individui (madre, padre, figlio e figlia: la “famiglia ideale”) che alle prime luci del mattino si ritrovano tutti insieme a far colazione prima di andare a scuola o al lavoro, e sono tutti sorridenti, perfettamente vestiti e pettinati, felici di condividere quell’importante momento della giornata.
E’ un mito molto pericoloso col quale crescere! Perché un bambino che vede quegli spot, potrebbe anche convincersi che quel tipo di famiglia, così diversa dalla propria (che è una famiglia VERA e non un’illusione veicolata da uno spot tv!), da qualche parte possa esistere davvero, mentre le statistiche raccontano tristemente una realtà ben differente. Drammaticamente differente, purtroppo.
Ogni anno in Italia, su tre matrimoni che si celebrano con rito religioso o civile, uno finisce in tribunale, ed è una tendenza che sembra destinata ad aumentare. Spesso queste separazioni si configurano come delle vere e proprie guerre tra coniugi (due film su tutti che raccontano questa condizione: “Kramer contro Kramer”, e “La guerra dei Roses”) nelle quali, purtroppo, a volte vengono coinvolti anche i figli. E quando queste guerre si trasformano in violenza vera e propria, ecco che sempre le statistiche ci dicono che è più probabile (specie per donne e bambini) essere ammazzati in cucina o nel tinello che in un quartiere malfamato: la famiglia uccide annualmente più della malavita organizzata. La vita che dovrebbe essere accolta ed amata, in quella “culla” che è la famiglia, viene invece proprio da essa in un certo senso rinnegata. Capita sempre più spesso di sentire, tra le notizie di cronaca nera, casi di ex mariti o ex fidanzati che, non riuscendo ad accettare la separazione o la fine del loro rapporto, non trovano altra soluzione se non quella di diventare degli “stalker” o, peggio, di uccidere la ex; casi di genitori che trascurano o causano la morte dei loro figli in molti modi diversi: dimenticandoli in un’auto chiusa sotto il sole, affogandoli, accoltellandoli, gettandoli appena nati in un cassonetto della spazzatura, solo per citare i primi casi che mi vengono in mente e che mi hanno particolarmente colpita in tempi recenti; casi di figli che, perfino con indifferenza e superficialità, uccidono i genitori; casi di fratelli che si scannano a vicenda per questioni di eredità. Nessun odio può superare quello che a volte si scatena tra parenti. Altro che famiglia unita che fa allegramente colazione!
Questi dati non possono e non devono lasciarci indifferenti: non si può pensare che questa sia una “normale” evoluzione della famiglia sottoposta a continui, e sicuramente più rapidi che nel passato, mutamenti sociali e culturali. Se la società ha come fondamenta la famiglia, bisogna prendere atto che queste fondamenta vacillano e non sono affatto solide, anzi: sono piuttosto fragili.
Arrovellarci a trovare i “colpevoli” di questa realtà (troppo lavoro o la mancanza di lavoro, ritmi troppo frenetici, mancanza di tempo, stress, estraneità e/o indifferenza tra i membri della famiglia, ansia nei confronti di un futuro incerto e precario, …) può essere utile solo nel caso in cui si cerchi poi di trovare anche una soluzione al problema. Più una società è in grado di tutelare, proteggere e incentivare la famiglia, più questa società ha una prospettiva per il suo futuro e può a buon diritto definirsi “società civile”. Politici e amministratori devono farsi carico di questa emergenza e cercare di creare le migliori condizioni esterne (sostegni economici e psicologici, infrastrutture, servizi, …) affinché la famiglia possa prosperare.
Questo però non basta: deve parallelamente aumentare la consapevolezza nei singoli membri della famiglia che le situazioni conflittuali possono essere risolte pacificamente, che i dolori derivanti da una separazione possono essere affrontati e superati, che essere genitori è il “mestiere” più difficile del mondo e non ci si deve vergognare ad ammettere di essere in difficoltà. Tutto questo lo si può affrontare con l’aiuto di un professionista, e questo non deve rappresentare un’onta o una vergogna, ma anzi un’opportunità di intervento prima che sia troppo tardi e che la situazione degeneri. E di questo deve farsi carico lo psicologo, che non ha ancora lo status di “psicologo di base” a fianco del medico di famiglia, come invece sarebbe auspicabile, ma che, attraverso i canali in cui gli/le è possibile lavorare, deve diffondere la cultura e la consapevolezza dell’alternativa, della mediazione, della gestione del conflitto, del sostegno e dell’ascolto.
La “famiglia del Mulino Bianco”, quindi, non esiste, ma il reale problema non è tanto che le famiglie vere abbiano dei conflitti al loro interno, quanto che manchino la volontà e/o la capacità di affrontarli in maniera efficace.
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